Giovio Domenichi - Dodici Visconti Visconti che signoreggiarono Milano - 1645

551 EUR

LE STORIE, I TRADIMENTI E LE AVVENTURE DEI DODICI VISCONTI DI MILANO
Seconda edizione delle Vite dei Visconti del Giovio nella traduzione italiana di Lodovico Domenichi (la prima è edita a Venezia nel 1558). Insieme di grande fascino e interesse per la storia lombarda.
Bella edizione seicentesca dell'importante opera del grande storico comasco (1483-1552), apparsa in latino nel 1549, tradotta in italiano e pubblicata nello stesso anno da Lodovico Domenichi. Autorevole narrazione storica della vita e dei fatti dei dodici Visconti che ressero Milano nel XV e XVI secolo.
STC., XVII sec. 400. Michel-Michel IV, 55. Cat. Hoepli 706. Predari p. 150.
in vendita online a 1.200 euro.

CONTENTS
Fresco esemplare di una bella edizione importante di storia milanese. Quella di Paolo Giovio, vescovo di Nocera, fu la più celebrata collezione italiana di ritratti. Egli, in una lettera datata 1521, espresse l'intenzione di mettere insieme dei veri ritratti di uomini di lettere, i cui sguardi avrebbero stimolato gli uomini alla virtù. Aveva in animo Giovio di aggiungervi ritratti di artisti, papi e principi e nel 1537 costruì un museo a Como per ospitarvi i quadri. Giovio convinse gli uomini famosi a spedirgli i loro ritratti con la promessa che, nel suo museo, essi sarebbero stati immortalati per i posteri. Brunet III,584.

Il Casato dei Visconti è una delle più antiche e illustri famiglie nobili italiane, attestata sin dalla fine del X secolo nel territorio dell'Italia settentrionale, dove venne infeudato l'omonimo Ducato Visconteo con capitale Milano. I Visconti furono signori di Milano dal 1277 al 1395, anno in cui il sovrano del Sacro Romano Impero Venceslao di Lussemburgo conferì a Gian Galeazzo Visconti il titolo di Duca di Milano, nonché vicario imperiale.
Il ramo principale dei Visconti dominò la scena politica dell'Italia settentrionale fino al 1447, alla morte senza eredi legittimi di Filippo Maria Visconti; ad essi subentrarono gli Sforza, per il matrimonio di Francesco Sforza con Bianca Maria Visconti, figlia legittimata dell'ultimo Duca.
Le fortune dei Visconti iniziarono nel 1262, quando Ottone Visconti fu nominato arcivescovo di Milano. La nomina fu piuttosto casuale, Ottone venne infatti nominato da un intervento della curia papale che per sedare i conflitti interni al capitolo metropolitano, normalmente incaricato della nomina, decise di nominare un esterno. Ottone, che all'epoca era il cappellano del cardinale Ottaviano degli Ubaldini, per oltre 15 anni non poté entrare in città dove era in corso una lotta di potere fra ghibellini e i guelfi guidati dai Della Torre. La battaglia di Desio (1277), in cui le truppe di Ottone sconfissero quelle di Napoleone della Torre, pose fine alla dominazione torriana e all'indipendenza del comune di Milano; Ottone fece ingresso in città e si insediò.

Nel 1287, in seguito alla distruzione di Castelseprio e alla sconfitta dei Della Torre, Matteo Visconti venne nominato "Capitano del popolo". Nel 1302 vi fu un breve ritorno del Della Torre durante il quale Matteo Visconti fu esiliato. Nel 1310, approfittando della riconciliazione imposta dalla discesa dell'imperatore Enrico VII di Lussemburgo, rientrò a Milano e l'anno successivo, forte del titolo di vicario imperiale conferitogli dall'imperatore, riuscì a estromettere definitivamente i Della Torre dando inizio ad un'opera di unificazione della Lombardia proseguita poi dai suoi successori.
L'opera di unificazione fu completata da Azzone Visconti, figlio di Galeazzo e nipote di Matteo, che si adoperò per gettare le basi di una struttura che coordinasse politicamente i suoi domini e che accentrasse il potere nelle mani della dinastia.
Nell'anno 1327, con la morte del padre, rimase lui come unico erede ed in opposizione al pontefice, comprò il titolo di vicario di Milano dall'Imperatore Ludovico IV. Nel 1332 al governo del nuovo vicario, si associarono gli zii Luchino e Giovanni Visconti, figli di Matteo, in una sorta di triumvirato. L'altro zio Lodrisio, rimastone fuori, inscenò invano una serie di congiure per spodestare i tre; quando tutti suoi complici furono arrestati da Azzone (23 novembre 1332), e rinchiusi nelle prigioni di Monza (dette i forni), fu costretto a fuggire a Verona, dove ospite di Mastino II della Scala, tesse una serie di alleanze, tra i quali rientravano gli scaligeri stessi ed il Signore di Novara Calcino Tornielli, nemico dell'Arcivescovo Giovanni. Si venne allo scontro decisivo il 21 febbraio 1339 nella Battaglia di Parabiago, vinta dai triumviri.

Alla morte dell’arcivescovo Giovanni (1354), il consiglio generale del Comune di Milano diede mandato a Boschino Mantegazza di conferire la signoria ai nipoti del presule, i quali accettarono, richiedendo però un lodo per ripartire fra i tre i beni ereditari dello zio e lo stesso dominio. A Bernabò andarono inizialmente due porte di Milano, unitamente alle città e alle terre orientali: Bergamo, Brescia, Cremona, Crema, Soncino, la Val Camonica, la Riviera del Garda, Rivolta e Caravaggio. A Galeazzo spettò la fascia di territorio più occidentale e più vicina ai domini sabaudi, con cui tanti legami egli aveva: Vercelli, Novara, Alba, Asti, Alessandria, Tortona, Bassignana, Vigevano e Como. Mentre a Matteo II spettarono: Lodi, Parma, Piacenza, Bobbio, Bologna, Pontremoli, Melegnano, Monza, Vaprio e Pandino (oltre ai contadi della Martesana e della Bazana). Dopo la morte di Matteo nel 1355 Bernabò ottenne Lodi, Parma e Pandino, mentre Galeazzo II ebbe Piacenza, Bobbio, Pontremoli e Monza e le porte di Milano Comacina, Vercellina, Giovia e Ticinese, nonché i territori del Seprio e della Bulgaria.
Bernabò, che nel 1371 riuscì a conquistare Reggio Emilia, amministrò la giustizia in deroga a statuti e consuetudini, talora in prima persona dal dominus, facendone uno strumento di costruzione del consenso. Inoltre resse il dominio appoggiandosi alla moglie e ai figli, cui affidò il governo di singole comunità e città, riducendo in tal modo al minimo la sua curia. Trattò molto spesso con durezza i guelfi, favorendo i ghibellini.
Galeazzo II, dopo la presa di Pavia, il 13 novembre del 1359, portò la sua residenza e la sua corte a Pavia. L’impressionante rinnovamento urbanistico cui fu sottoposta la città per ordine di Galeazzo II a partire dal 1360 appare un piano ben preordinato, intriso di grandeur regia e votato alla valorizzazione della memoria del ruolo di capitale del Regno longobardo prima e del Regno d'Italia poi, che Pavia ebbe fino all'XI secolo. Eredità a cui Galeazzo II, e in seguito anche il figlio Gian Galeazzo, voleva richiamarsi, utilizzando soprattutto le memorie della regalità altomedievale che Pavia conservava, al fine di legittimare il suo potere e ponendosi in diretta continuità con i re longobardi e altomedievali. Terminati il cantiere del castello, nel 1365, Galeazzo II, forse anche a causa di certi dissapori nei confronti del fratello Bernabò, lasciò Milano e si trasferì con tutta la sua corte a Pavia.
Da Pavia Galeazzo II, caratterizzato da pratiche di governo e ideali completamenti diversi dal fratello, governò la parte occidentale dei domini viscontei. Il signore, dotato di spiccata cultura (diversamente da Bernabò che non amò mai circondarsi da intellettuali), non solo ospitò presso la sua corte Francesco Petrarca, ma dotò il proprio castello di Pavia di una importante biblioteca (poi arricchita dai suoi successori) e fondò, nel 1360, l’università, la prima di tutto Stato visconteo. Sia lui sia la moglie Bianca di Savoia patrocinarono la creazione di importanti cantieri, come la chiesa del Carmine o il monastero di Santa Chiara la Reale e, sempre richiamandosi al sogno regio, dotò il suo castello di vasto parco (il parco Visconteo) che doveva rievocare il favoloso giardino del palazzo Reale altomedievale e volle essere sepolto nella Basilica di San Pietro in Ciel d’Oro, dove si trovava la tomba del re longobardo Liutprando.
Il successore di Galeazzo II, Gian Galeazzo, proseguì con maggiore vigore le idee del padre. Fino al colpo di mano del 1385, che gli permise, con la deposizione dello zio Bernabò di unificare i domini viscontei, la dinastia fu divisa in due corti: quella di Milano, dove risiedeva Bernabò, e quella di Gian Galeazzo a Pavia. Dopo il 1385 Gian Galeazzo e la sua corte, pur itinerando di continuo tra Pavia e Milano, molto più spesso risiedeva a Pavia, soggiornando volentieri nel castello e frequentando il Parco Visconteo, che Gian Galeazzo non solo fece ampliare, ma lo dotò di nuove strutture, al termine del quale si trovava la Certosa, il tempio dinastico voluto dal signore. La presenza a Pavia della corte, anche per Gian Galeazzo, aveva un chiaro ruolo simbolico, dato che permetteva ai Visconti di richiamarsi sia ai re longobardi che a quelli del regno d’Italia, legittimando così le loro pretese regie. Con Gian Galeazzo lo Stato Visconteo raggiunse la sua massima estensione: tra il 1387 e il 1389 furono conquistate Verona, Vicenza, Feltre, Belluno e, temporaneamente, Padova, mentre tra il 1399 e il 1402 il signore estese il suo controllo a Pisa, Siena, Perugia, Assisi e Bologna. Ma soprattutto, richiamandosi al sogno regio del padre, Gian Galeazzo riuscì a trasformare i Visconti in una dinastia ereditaria grazie all'ottenimento nel 1396 del titolo di duca di Milano da parte dell'imperatore Venceslao. Faceva parte del progetto del signore la creazione (sempre concessa dall'imperatore) della contea di Pavia (1396) destinata al primogenito, la duplicazione della capitale e delle sedi della corte (Milano e Pavia) e l'istituzione di una struttura burocratica e camerale che raddoppiava le istituzioni milanesi (solo nel tardo Quattrocento gli Sforza tentarono di superare questa dualità, ma nonostante questi tentativi a Pavia restarono archivi, Biblioteca, reliquie, strutture residenziali cortigiane e l'immenso Parco Visconteo fino alla caduta della dinastia sforzesca). La duplice sede della corte, tra Milano e Pavia, attribuiva a quest'ultima un ruolo distinto, una identità forte e prestigiosa all'interno del dominio e rispetto alle altre città, a scapito della centralità milanese, situazione che rimase anche dopo il 1413, quando Filippo Maria Visconti scelse definitivamente a Milano come sede principale della corte.
Dopo la morte di Gian Galeazzo nel 1402 il Ducato - che aveva raggiunto la sua massima espansione - passò ai suoi figli Giovanni Maria e Filippo Maria, ma il dominio, che Gian Galeazzo aveva messo insieme con ogni sorta di violenze, andò in pezzi, e a mala pena poterono essere conservate le province più vecchie che lo componevano.

La linea Ducale di Milano si estinse nella linea maschile con la morte di Filippo Maria nel 1447 ed il Ducato passò (dopo la breve esperienza della Repubblica Ambrosiana) a Francesco Sforza, il quale aveva sposato la figlia illegittima di Filippo, Bianca Maria. In linea femminile legittima, i Valois-Orleans, quali discendenti di Valentina Visconti, vantavano seri diritti su Milano, diritti che furono fatti valere da Luigi XII di Francia agli inizi del XVI secolo.

CONDITION REPORT
Bella antiporta incisa in rame con lo stemma della città di Milano, ritratto calcografico di Mons. Honorato Visconti dedicatario dell'opera al verso del frontespizio, 13 ritratti calcografici a piena pagina, capilettera, testatine e finalini xilografici, lievi fioriture marginali, piccolo foro a C3 e E3, rare lievi macchie, leggera tracce di umidità al margine inferiore di poche carte, legatura di epoca successiva in mezza pelle e carta marmorizzata, autore e titolo impressi in oro al dorso a 5 nervi, difetti a dorso e cerniere, leggeri segni di usura. Buono stato di mantenimento dell'opera. Grande capolettera Pp. 24nn. 132; (2)

FULL TITLES & AUTHORS
Le vite de i dodeci Visconti che signoreggiarono Milano. Descritte da monsignor Paolo Giovio vescovo di Nocera tradotte da Lodovico Domenichi. Et in quest'ultima impressione accresciute de gl'Argomenti à ciascuna d'esse vite, con le annotationi nel margine, and Tavola copiosissima. Abbellite delle vere effigie d'essi principi, dedicate all'illust.mo et rever.mo monsig.r Honorato Visconti arcivescouo di Larissa.
In Milano, In casa di Gio. Battista Bidelli, 1645
Paolo Giovio/ Ludovico Domenichi Chiudi

Luogo: Lombardia - Mantova

Aggiunto a 14 giorni fa e scade il 3 June
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